L’arte dell’intarsio su legno, per anni relegata nelle pagine di scrittori amanti dell’antiquariato, sembra tornare a rinascere e riacquistare tutto il suo valore artistico ed estetico.
L’intarsio
L’intarsio o tarsia lignea è un tipo di decorazione che si realizza accostando minuti pezzi di legni o altri materiali di colori diversi. Diffusa già nel Trecento tra il 1440 e il 1550 raggiunge il massimo della fioritura, sviluppando quello che verrà definito da André Chastel “il cubismo del Rinascimento”. Fino a tutto il XV secolo la tarsia rimase una forma artistica praticata essenzialmente solo in Italia; in seguito si diffuse, seppure molto cautamente, anche al di là delle Alpi. Simile è l’ebanisteria, dove però come materiale viene utilizzato esclusivamente il legno, inoltre è un termine applicato dal XVII secolo, soprattutto riguardo alla decorazione del mobilio.
La tecnica
Prima di procedere all’intarsio con pezzetti di legno, veniva creato un cartone, spesso disegnato da pittori di professione, che affidavano la realizzazione dei manufatti ad artigiani specializzati. La tecnica consisteva nell’accostare legni e, talvolta, altri materiali (avorio, osso o madreperla), tagliati in modo da combaciare perfettamente, fino ad ottenere disegni che, nei migliori casi, arrivavano ad una notevole complessità virtuosistica. I diversi colori dipendevano dalle tinte proprie delle varie essenze, variate ulteriormente a seconda del taglio e dell’inclinazione delle venature, che facevano variare la rifrazione della luce sulla superficie. Talvolta si ricorreva poi alla tintura dei pezzi ottenuta bollendoli con sostanze coloranti, mentre i toni più scuri erano di solito ottenuti tramite una brunitura con ferri roventi, effettuata solitamente dopo la posa in opera.
La tarsia venne impiegata nella decorazione di cofanetti, cassoni nuziali, porte, mobili da sacrestia, stalli e per il rivestimento di cori e di studioli privati. Nel periodo d’oro del Rinascimento, la tarsia era correlata ad aspetti teorici, di applicazioni delle leggi prospettiche per realizzare perfetti trompe-l’oeil, tanto da farne una delle arti più diffuse tra la committenza più elevata. Le tarsie nelle sagrestie o negli studioli dei grandi principi del tempo erano accomunate da un carattere di “separatezza riflessiva”, al quale si adattava perfettamente il carattere immoto e non narrativo delle vedute, degli armadietti e degli oggetti rappresentati. Si trattava di soggetti antesignani del paesaggio e della natura morta, che in pittura, nel Rinascimento, non avevano ancora una propria autonomia espressiva.
Frequenti erano oggetti come le coppe sfaccettate, le clessidre, i candelabri, i compassi, i solidi geometrici, le gabbie di uccelli, i pezzi di armature, ecc. Frequenti erano poi gli armadi semiaperti, che lasciavano intravedere il corredo tipico dello studioso umanista, come libri e strumenti musicali: non di rado tali soggetti erano raffigurati su sportelli di veri armadi a muro che spesso contenevano oggetti del tutto simili a quelli raffigurati. Le rappresentazioni erano sempre comunque legate alle regole prospettiche della pittura vigente, e gli stessi pittori che fornivano i cartoni si adattavano alle specificità di questo genere decorativo. Impossibile è ad esempio immaginare la produzione di maestri come Lorenzo e Cristoforo da Lendinara senza l’influsso delle vedute silenziose e geometrizzate di Piero della Francesca